In Europa prosegue la campagna vaccinale contro il SARS – CoV-2, sia pure a ritmi piuttosto lenti, a causa del mancato rispetto delle consegne da parte della case farmaceutiche, dello stop di alcuni giorni imposto alla somministrazione dei vaccini prodotti da AstraZeneca e Johnson & Johnson ma, anche dalle scarse risorse finanziarie e organizzative, a disposizione dei sistemi sanitari.
I vaccini costituiscono al momento l’unica arma disponibile per fermare la pandemia da COVID -19, che nel mondo, mentre scriviamo, ha colpito oltre 136 milioni di persone e causato più di tre milioni di decessi confermandosi un fenomeno ad altissimo impatto sanitario, sociale, economico, relazionale.
La più grande campagna di vaccinazione mai affrontata nella storia dell’umanità potrà avere successo, tuttavia, solo se sarà equa, universale e inclusiva. Per questo, la LILA sostiene e invita tutti a sostenere la campagna “Diritto alla cura – nessun profitto sulla pandemia”. La campagna prevede una raccolta firme europea che, in caso di successo, vincolerà le istituzioni comunitarie a limitare i diritti di brevetto farmaceutici permettendo un forte incremento della produzione dei vaccini e a costi molto più bassi, così da poter tutelare al meglio il diritto alla salute di tutti e tutte, in ogni parte della terra.
Altra leva fondamentale per il successo dei piani vaccinali sono la trasparenza e l’efficacia delle informazioni da rivolgere all’opinione pubblica.
Ciò che al momento sappiamo e che ci viene garantito, è che, nonostante i tempi ridotti della sperimentazione, i vaccini ad oggi autorizzati presentano alti profili di efficacia e sicurezza.
Tempi di sperimentazione troppo brevi? Ci sono dei rischi?
In tanti si chiedono se proprio i ristretti tempi di sperimentazione non possano riservare, nel corso delle campagne vaccinali, rischi finora sconosciuti. A tal riguardo, le autorità internazionali competenti spiegano che a consentire tempi così rapidi di ricerca e valutazione abbiano concorso sia le ingenti risorse pubbliche stanziate, sia l’inedita cooperazione internazionale che si è verificata rispetto allo scambio di dati e di protocolli nonché l’alto numero di volontari coinvolti nelle fasi sperimentali. Inoltre, alcune tecnologie vaccinali innovative, come, ad esempio, quelle utilizzate da Pfizer e Moderna, erano in via di elaborazione già prima della pandemia. La relativa rapidità dei tempi di studio, sperimentazione e immissione sul mercato, non ha dunque intaccato la sicurezza dei processi di realizzazione dei vaccini. Tuttavia, l’immissione in uso di questi prodotti è ancora molto recente e diversi risvolti sono ancora in corso di studio. Mancano, ad esempio, adeguati studi pediatrici, indicazioni su durata e condizioni della copertura, così come sono ancora pochi i dati sull’impatto del vaccino sulle persone con criticità immunitarie e/o in HIV.
E’ bene comunque sapere che, come tutti i farmaci, anche i vaccini anti-COVID sono soggetti a farmacovigilanza per valutare, nel corso del tempo, eventuali eventi o reazioni avverse non intervenute nelle fasi di studio e sperimentazione.AIFA, l’Agenzia Italiana del Farmaco spiega:
“Ogni prodotto medicinale ha benefici e rischi che vengono attentamente valutati durante le procedure di autorizzazione e rivalutati continuamente dopo l’immissione in commercio. La farmacovigilanza è quell’insieme di attività che ha lo scopo di raccogliere continuamente tutti i dati di sicurezza e le informazioni disponibili sull’uso dei prodotti medicinali (farmaci e vaccini). Questa valutazione continua serve, tra l’altro, ad assicurare che nel tempo il rapporto beneficio/rischio si mantenga favorevole, cioè a garantire che i benefici per la salute siano superiori agli eventuali rischi”.
La farmacovigilanza attivata per i vaccini in corso risponde, dunque, a processi di sicurezza codificati e attivati per tutti i farmaci e non deve essere interpretata come un segnale di preoccupazione o allarme specifico per i vaccini anti-COVID. L’ampia visibilità data a eventuali eventi avversi intervenuti è dovuta, ovviamente, all’alto interesse mediatico e pubblico suscitato dai vaccini anti – Covid e dalla sfida epocale che stiamo affrontando.
“Crediamo, tuttavia, che sia più che mai urgente aprire un confronto pubblico su come le istituzioni sanitarie e farmaceutiche italiane ed europee possano e debbano assumere un ruolo più incisivo riguardo agli standard dei protocolli di sperimentazione di vaccini e terapie –dice Massimo Oldrini, Presidente Nazionale della LILA– E’ importante che tali protocolli siano in grado, nella massima sicurezza delle persone arruolate, di coprire la più ampia casistica possibile relativamente a sesso, età gruppi sociali, patologie pregresse e /o concomitanti, HIV incluso”.
Nel caso di prodotti rivolti a fasce amplissime di popolazione, e con una pandemia epocale da fronteggiare, è bene che gli organismi titolari della salute pubblica possano assumere un ruolo guida in tutte le strategie da mettere in campo. La sensazione è che la FDA, Food and Drug Administration statunitense, sia in parte riuscita ad assolvere a questo compito e a guidare i processi di studio e sperimentazione. Più debole appare invece, il ruolo dell’EMA, European Medicines Agency, non tanto nella capacità di valutare correttamente l’efficacia e la sicurezza dei prodotti, quanto nel saper guidare e indirizzare i processi di studio, sperimentazione e produzione di farmaci e vaccini.
Come funzionano i vaccini anti – COVID?
Passiamo in rassegna le caratteristiche dei quattro vaccini già utilizzati e/o autorizzati nei paesi dell’Unione Europea e, dunque, anche in Italia. Due di questi, made in USA, agiscono, come si accennava, con una tecnologia del tutto nuova. Si tratta dei vaccini di Moderna e del Comirnaty di Pfizer-Biontec, il cui funzionamento è basato sull’mRNA, ossia l’RNA messaggero, una macromolecola che contiene istruzioni per le cellule immunitarie.
Al ricevente viene somministrata non della materia virale, come accade per tutti i precedenti vaccini, ma del materiale genetico, appunto l’mRNA, che innesca direttamente nell’organismo del ricevente, la produzione della proteina virale denominata Spike, quella che contiene il virus. Le cellule immunitarie riconoscono la Spike come “un’intrusa” è si attrezzano per combatterla. Le molecole di mRNA iniettate non sono in grado di attivare la malattia ma innescano comunque la produzione degli anticorpi necessari a contrastarla: in sostanza, è come se il sistema immunitario potesse vedere un’anteprima della struttura dell’agente aggressivo e progettare le sue difese, senza che venga introdotto nel corpo del materiale virale, più o meno attivo. Se in seguito la persona dovesse entrare in contatto con il vero virus SARS-CoV-2, il sistema immunitario sarà così in grado di riconoscerlo e di difendersi . L’mRNA del vaccino non rimane nel corpo ma viene scomposto subito dopo la vaccinazione.
Il vaccino AstraZeneca, ora ribattezzato Vaxzevria, e il Janssen prodotto da Johnson & Johnson sono invece vaccini che utilizzano il metodo più collaudato del vettore virale. Si tratta cioè di un virus, nello specifico un adenovirus incapace di replicarsi, che contiene un codice per la produzione della proteina Spike. Spiega AIFA: “Il sistema immunitario si attiva contro la proteina e produce degli anticorpi che, qualora il soggetto entrasse a contatto con il virus, lo proteggeranno dall’infezione. La tecnologia del vettore virale utilizzata per questo vaccino è già stata testata con successo ed è utilizzata per prevenire altre malattie”
I protocolli sperimentali dei vaccini hanno coinvolto le persone con HIV? Con quali risultati?
Per motivi di sicurezza, gli studi dei vaccini autorizzati in Europa hanno inizialmente limitato il reclutamento solo a partecipanti senza patologie particolari. Tuttavia, nella fase tre, dopo i primi risultati incoraggianti, tutte le aziende che producono i vaccini in uso, hanno arruolato anche persone con HIV. Si è trattato di campioni piuttosto ridotti che non hanno permesso di rilasciare risultati specifici. Tuttavia, i pochi elementi disponibili non evidenziano criticità, tanto che le agenzie regolatorie sono unanimi nel raccomandare la vaccinazione alle persone con HIV. Questo anche perché –viene sottolineato- sia il vaccino Pfizer sia quello Moderna non contengono virus e, dunque, non possono provocare il COVID. Nessun rischio di contrarre l’infezione nemmeno con i prodotti AstraZeneca e Johnson & Johnson che utilizzano adenovirus incapaci di replicarsi.
Tra i dubbi che più vengono sollevati c’è, per ora, solo la possibilità che il vaccino possa essere meno efficace nelle persone con criticità immunitarie. Non è però questo il caso delle persone con HIV in terapia Antiretrovirale e in buona salute..
Ci informa Nam-Aidsmap che lo studio Pfizer ha reclutato circa 300 persone con HIV su un totale di 38mila. Il Comirnaty può essere utilizzato dai sedici anni in poi e prevede la somministrazione di due dosi a distanza di ventuno giorni. La stima di efficacia è pari al 95%. Non sono emerse controindicazioni specifiche se non l’allergia a uno dei componenti del vaccino. Nelle persone con patologie croniche stabili e non gravi l’efficacia è stata pari a quella dimostrata nel campione generale. Il vaccino è utilizzato da troppo poco tempo per dare risposte certe su durata della copertura, riduzione dei casi di Covid grave, riduzione della trasmissione dell’infezione. Tuttavia, in Israele il Comirnaty ha ridotto i casi gravi del 92% e i ricoveri dell’87%. Il vaccino Pfizer mostra un’efficacia elevata anche contro la variante inglese e sufficientemente elevata contro la variante sudafricana.
Lo studio Moderna ha reclutato 176 persone con HIV su un totale di 30mila. Il siero può essere utilizzato dai diciotto anni in poi e prevede la somministrazione di due dosi a distanza di 28 giorni. La stima di efficacia è di poco superiore al 94%. Anche in questo caso non sono emerse controindicazioni specifiche se non l’allergia a uno dei componenti del vaccino e nelle persone con patologie croniche stabili e non gravi l’efficacia è stata pari a quella dimostrata nel campione generale. In sede di sperimentazione il siero di Moderna ha mostrato un’efficacia stimata del 100% per quanto riguarda l’evoluzione verso forme gravi dell’infezione. La protezione contro le varianti si mostra elevata verso quella inglese e sufficientemente elevata contro la variante sudafricana.
Il vaccino anglo-svedese Oxford/Astra Zeneca Vaxzevria, al momento l’unico europeo, è autorizzato per la popolazione dai 18 anni in poi, esclusi i soggetti estremamente vulnerabili per i quali si raccomandano invece Pfizer e Moderna che mostrano una maggiore copertura. Non ha controindicazioni se non l’allergia accertata a componenti del vaccino stesso. E’ stato sperimentato su 22mila persone di cui 160 persone con HIV nel Regno Unito e in Sud Africa. I dati relativi non sono stati inclusi nel principale set di dati pubblicato su “Lancet”
Nei giorni scorsi EMA, European Medicines Agency, è tornata a esaminare eventuali connessioni tra la somministrazione del vaccino e alcuni eventi trombolitici rari. Le conclusioni non escludono il nesso ma confermano come il rapporto rischi-benefici del farmaco AstraZeneca si confermi positivo, poiché “è sicuramente efficace nel ridurre il rischio di malattia grave, ospedalizzazione e morte connesso al COVID-19”. In considerazione del fatto che gli episodi di trombosi siano stati segnalati soprattutto in donne di età inferiore ai sessanta anni, il 7 aprile scorso è stata emessa una circolare del Ministero della Salute che raccomanda l’uso preferenziale del vaccino AstraZeneca nelle persone di età superiore ai 60 anni.
Ad aumentare la diffidenza verso il prodotto c’è anche la confusione con cui AstraZeneca ha presentato e continua a presentare dati, protocolli sperimentali e studi in corso. Le istituzioni sanitarie, in Europa come in Gran Bretagna, fanno notare, tuttavia, come i casi di trombosi esaminati da EMA siano in tutto ottantasei, di cui diciotto fatali, a fronte di trentaquattro milioni di vaccinazioni, una casistica, dunque, molto esigua. Inoltre la Gran Bretagna, che ha utilizzato soprattutto AstraZeneca, ha registrato in poche settimane un tracollo delle infezioni mentre i decessi sono ormai prossimi allo zero.
Sulle modalità di somministrazione e sull’efficacia di Vaxzevria partiamo da quanto scritto da AIFA: “Complessivamente l’efficacia vaccinale di COVID-19 Vaccine AstraZeneca è risultata pari al 59,5% nel prevenire la malattia sintomatica. Nei partecipanti che presentavano una o più comorbidità, l’efficacia del vaccino è stata molto simile (58,3%)”.
Tuttavia, nuovi dati pubblicati lo scorso febbraio 2021 in preprint sulla rivista ‘Lancet’, indicano un’efficacia dell’82% quando la seconda dose viene somministrata nel corso della dodicesima settimana. Ecco perché AIFA ritiene utile indicare la somministrazione della seconda dose del vaccino AstraZeneca idealmente nel corso della dodicesima settimana e, comunque, a una distanza di almeno dieci settimane dalla prima dose.
Il prodotto non è stato ancora autorizzato negli Stati Uniti, anche perché le autorità sanitarie Usa richiedono dati aggiuntivi e più chiari. Tali dati potrebbero giungere da un nuovo test clinico su 32mila volontari, prevalentemente in corso negli USA. Le primissime indicazioni fornite dall’azienda sembrano indicare prestazioni migliori di quelle indicate dai protocolli iniziali, in particolare un’efficacia del 76% nel prevenire il Covid e del 100% contro le forme gravi della malattia.
La sua efficacia contro la variante inglese si è mostrata elevata, più scarsa quella contro la variante sudafricana, ma le opportune valutazioni sono ancora in corso.
Il vaccino statunitense Janssen di Johnson & Johnson è indicato per le persone di età pari o superiore a diciotto anni. La somministrazione prevede una dose unica. La sperimentazione ha coinvolto 44mila persone di cui 1218 con Hiv, ossia il 2,8% di tutti i partecipanti. Si tratta dunque dello studio che più ha coinvolto le PLWIHV. Nemmeno in questo caso sono stati rilasciati dati specifici ma non sono emerse criticità. In generale, non ha controindicazioni se non l’allergia accertata a componenti del vaccino stesso. L’efficacia stimata è del 67%. A ventotto giorni dalla somministrazione, Janssen ha però dimostrato una capacità di prevenire le forme più gravi di Covid fino all’85%. Pochi i dati sull’efficacia contro le varianti. Anche la somministrazione di questo vaccino ha subito una sospensione di alcuni giorni da parte della Statunitense Food and Drug Administration (FDA), dopo la segnalazione di alcuni concomitanti casi di trombosi, ora all’esame delle agenzie regolatorie. I numeri sono esigui –6 casi, di cui uno fatale, su 7 milioni di dosi somministrate– ma le procedure di farmacovigilanza sono comunue scattate in via precauzionale. Dopo la sospensione, l’azienda ha fatto slittare il lancio del prodotto in Europa.
Vaccini e HIV: le indicazioni della autorità sanitarie in Italia e nel mondo.
Rispetto alle persone con HIV e/o immunodepressione, le indicazioni delle agenzie sanitarie internazionali e degli enti regolatori sui vaccini anti-COVID sono piuttosto conformi: è importante e raccomandato che le persone con HIV ricevano il vaccino, anche alla luce di recenti ricerche che mostrano una letalità più alta tra le PLWHIV, e una più alta probabilità di sviluppare il COVID in forma grave.
Tra le indicazioni c’è anche quella di informarle sullo stato degli studi e dei dati disponibili mentre l’unica criticità generalmente sollevata è quella di una possibile minor efficacia dei vaccini nelle persone con problemi immunitari.
Partiamo da UNAIDS che dichiara:
- Si ritiene che i vaccini COVID-19 in fase di sviluppo o approvati dagli enti regolatori siano sicuri per la maggior parte delle persone, comprese quelle che vivono con l’HIV. Non c’è quindi alcun motivo per cui le persone che vivono con l’HIV non dovrebbero riceverli.
- Nessuno dei vaccini in fase di sviluppo o approvati dalle agenzie regolatorie utilizza vaccini vivi, ciò implica che dovrebbero essere appropriati e sicuri anche in persone con sistema immunitario compromesso come le persone con HIV che non abbiano la viremia soppressa. Un numero molto limitato di persone ha avuto reazioni allergiche gravi dopo il vaccino e non c’è motivo di aspettarsi livelli di reattività più elevati tra le PLWHIV.
- I vaccini COVID-19 sono sicuri per le persone che convivono con l’HIV comportando per loro gli stessi benefici che apportano a tutta la popolazione generale: prevenzione dell’evoluzione severa della malattia COVID e trasmissione potenzialmente ridotta del Virus SARSCoV-2.
- Le persone che vivono con l’HIV dovrebbero continuare a prendere una terapia antiretrovirale efficace. Anche dopo la vaccinazione, le persone dovrebbero continuare a prendere misure preventive contro il virus SARS-CoV-2
Anche l’OMS, Organizzazione mondiale della Sanità (WHO) dedica un ampio capitolo informativo alla questione dei vaccini in HIV. Riportiamo di seguito solo alcuni dei passaggi : “Vaccini Covid 19 e persone che convivono con l’HIV”: “Molti degli studi sui vaccini COVID-19 hanno incluso un piccolo numero di persone che convivono con l’HIV nelle loro sperimentazioni. Nonostante i dati limitati, le informazioni disponibili suggeriscono che gli attuali vaccini COVID-19 raccomandati dall’OMS sono sicuri per le persone che vivono con l’HIV. I prodotti vaccinali ora disponibili non sono vaccini vivi, ma includono materiale genetico di SARS-CoV-2 che non può replicarsi. Pertanto non si prevede che questi vaccini siano meno sicuri nelle persone immunocompromesse. Non sono state segnalate, inoltre, interazioni farmacologiche tra i vaccini COVID-19 e i farmaci antiretrovirali che le persone che convivono con l’HIV dovrebbero continuare ad assumere dopo la vaccinazione per mantenersi in salute”.
Altre raccomandazioni sono:
- Sostenere tutte le necessarie azioni di advocacy affinché nessuna persona venga lasciata indietro e affinché i programmi nazionali di vaccinazione per COVID 19 non escludano le persone appartenenti alle popolazioni chiave e vulnerabili, a rischio di HIV, che potrebbero avere un accesso limitato ai servizi sanitari.
- Sostenere l’inclusione delle persone che convivono con l’HIV, comprese quelle con malattia più avanzata, negli studi sul vaccino COVID-19 per fornire informazioni e per confermarne l’efficacia.
- I paesi membri facciano riferimento alle raccomandazioni OMS sulle priorità vaccinali. Le vaccinazioni possono essere pianificate in relazioni a priorità come l’età, lo stato di salute, l’occupazione svolta, oppure in base ai luoghi in cui si vive: case di cura, di assistenza o ambienti chiusi come le carceri. Alcuni paesi includono tra le fasce prioritarie tutte le persone con HIV altri, invece, solo quelle il cui sistema immunitario sia stato compromesso dall’HIV (cellule CD4 <200 / mm 3).
- La letteratura scientifica recente suggerisce che le persone che vivono con l’HIV, quale che sia il numero di cellule CD4, possano essere a maggior rischio di esiti gravi e fatali se colpiti dal COVID 19. Indipendentemente dallo stato immunitario, molte PLWHIV hanno una o più comorbidità, il che può aumentare il rischio di esiti più gravi del COVID-19. Pertanto, le PLWHIV con comorbidità come: bronco pneumopatia cronico- ostruttiva, asma, diabete, malattie cardiache, malattie renali, malattie del fegato, morbo di Parkinson, sclerosi multipla, malattia dei motoneuroni, obesità grave, dovrebbero avere la priorità per la vaccinazione precoce nella maggior parte dei contesti.
Assicurare alle persone con HIV un accesso efficace alle terapie ART e alle altre cure sanitarie di cui hanno bisogno, aiuterà a ridurre al minimo i rischi per loro derivanti da SARS – CoV2. Oltre alla risposta al COVID-19, è fondamentale, perciò, mantenere l’accesso ai servizi sanitari essenziali. Questo implica:
- Supportare le persone che convivono con l’HIV affinché continuino a prendere la terapia antiretrovirale (ART) e adattare i servizi per renderla più accessibile ed efficiente durante la pandemia.
- Continuare a fornire servizi di prevenzione e test dell’HIV e assicurare, a chi si scopra positiva/o all’HIV, un avvio immediato delle terapie ART.
- Garantire che coloro che iniziano le Terapie Antiretrovirali restino in cura così da ridurre i rischi per la salute ed eventuali complicazioni in caso di COVID-19. Questo deve essere classificato come un servizio essenziale, insieme alla prevenzione, alla diagnosi e al trattamento delle comorbidità e coinfezioni.
- Garantire il monitoraggio di tutte le persone che convivono con infezioni da HIV e SARS-CoV-2, in particolare quelle con malattia da HIV avanzata o con comorbidità.
CDC, Il Centro USA per il Controllo delle malattie infettive, dedica alle persone con HIV che devono vaccinarsi diversi passaggi.
Questa una sintesi di quanto scrive l’importantissima istituzione sanitaria statunitense: “Le persone con HIV e quelle con un sistema immunitario indebolito a causa di altre malattie o farmaci possono ricevere un vaccino COVID-19 in quanto potrebbero essere maggiormente a rischio di COVID-19 grave;
Le persone che vivono con l’HIV sono state incluse negli studi clinici, sebbene al momento non siano ancora disponibili dati specifici per questo gruppo, tuttavia, i vaccini COVID-19 ora autorizzati non sono vaccini vivi e quindi possono essere somministrati in sicurezza a persone immunocompromesse
Le persone con un sistema immunitario indebolito dovrebbero essere consapevoli dell’esistenza di dati limitati e della possibilità di una ridotta risposta immunitaria al vaccino, nonché della necessità di continuare a seguire le attuali linee guida per proteggersi dal COVID-19”.
BHIVA
La principale associazione britannica di studio e ricerca per l’HIV/AIDS, la British HIV Association (BHIVA) è stata fin dall’inizio della pandemia tra le istituzioni più attive nella raccolta e nella diffusione di studi, dati e ricerche su HIV e COVID 19. In questo documento, in merito ai vaccini contro COVID 19 per adulti con HIV scrive: “Alcuni vaccini possono produrre nelle persone con HIV una risposta immunitaria più debole. Non sappiamo ancora se questo sia il caso dei vaccini COVID-19, ma ci si attende che abbiano comunque un effetto protettivo e sono raccomandati per le persone con HIV. Il Dipartimento della Salute raccomanda la vaccinazione COVID-19 a tutte le persone con HIV, indipendentemente dal numero di CD4. Nessuno dei vaccini COVID-19 contiene virus vivi e quindi non può causare COVID-19. Il vaccino AstraZeneca / Oxford contiene un virus del raffreddore, chiamato adenovirus, che è stato modificato per renderlo inattivo; vaccini simili che funzionano con adenovirus sono stati utilizzati e studiati in popolazioni in cui l’HIV è comune e si sono dimostrati sicuri. Si ritiene che tutti i vaccini attualmente approvati siano sicuri per le persone con criticità del sistema immunitario”.
Sulle interazioni tra vaccini e farmaci antiretrovirali BHIVA, inoltre, precisa: “I farmaci per l’HIV non influenzano l’efficacia dei vaccini COVID-19 e i vaccini COVID-19 non influenzano nemmeno il funzionamento dei farmaci per l’HIV. Se in passato hai avuto effetti collaterali o una reazione allergica a particolari farmaci per l’HIV, ciò non significa che avrai otterrai effetti collaterali dai vaccini COVID-19”.
Lo scorso 24 marzo è stata inoltre redatta una nuova bozza di linee guida da parte di BHIVA, aperta alla consultazione online, sulle vaccinazioni contro COVID -19 nelle persone con HIV.
Si tratta di un documento di diciassette pagine con diverse raccomandazioni, riassunte così da Simon Collins di HIV i–Base, che ringraziamo. Eccone alcune:
- L’aumento del rischio di COVID-19 grave associato all’HIV significa che la vaccinazione di routine COVID-19 è fortemente raccomandata per TUTTE le persone che convivono con l’HIV.
- Non ci sono problemi di sicurezza specifici per l’HIV per nessuno dei vaccini a base di mRNA, adenovirus o vettori (proteine). Non ci sono preoccupazioni relative alla conta dei CD4 o alla carica virale.
- Le poche controindicazioni (grave allergia agli ingredienti) sono le stesse per le persone sieronegative e sieropositive all’HIV.
- Si consiglia il primo vaccino offerto: nessun vaccino è migliore di un altro. Le vaccinazioni sono particolarmente importanti per chiunque abbia un rischio maggiore di COVID-19. Questi includono: Fattori HIV (CD4 basso o carica virale rilevabile), fattori non HIV (altri gravi problemi di salute), Gravidanza.
- È importante completare il percorso vaccinale assumendo entrambe le dosi. La seconda vaccinazione dovrebbe essere di routine della stessa marca, a meno che non ci sia stata una reazione grave alla prima somministrazione. Se per qualsiasi motivo non è disponibile lo stesso vaccino, è possibile utilizzare un vaccino diverso.
- I vaccini sono consigliati anche se hai recentemente avuto il coronavirus.Se i sintomi sono molto recenti, è meglio aspettare circa quattro settimane prima di fare il vaccino.
Restando in Gran Bretagna, tra I paesi che hanno somministrato più vaccini nel mondo in rapporto alla popolazione, il JCVI, Joint Committee on Vaccination and Immunisation, ha raccomandato di procedere in via prioritaria alla vaccinazione di nove gruppi di persone più esposte al virus, in base all’età e alle condizioni mediche. Le persone con HIV sono considerate uno dei gruppi prioritari da vaccinare e sono state pertanto inserite nella sesta fascia di priorità. Tuttavia è raccomandato l’inserimento nel quarto gruppo di priorità, quello che si riferisce alle persone in situazioni di estrema vulnerabilità clinica, delle persone con HIV che presentino le seguenti condizioni:
- Conta dei CD4 inferiore a 50 cellule / mm 3 ,
- Persone con HIV che abbiano sofferto di una malattia opportunistica negli ultimi sei mesi.
- Tutte le persone, in particolare quelle con una conta dei CD4 compresa tra 50 e 200 cellule / mm 3, con fattori di rischio aggiuntivi dovrebbero essere valutate su base individuale e, se ritenute estremamente clinicamente vulnerabili, possono essere aggiunte a questa categoria.
- Altri fattori di rischio che possono portare a considerare le persone con HIV come estremamente vulnerabili e, dunque da vaccinare in quarta fascia, includono:
- Carica virale rilevabile
- Conta CD4 al nadir basso
- Ulteriori comorbidità associate a rischio moderato quali:
-Condizione polmonare non grave (ad esempio asma, BPCO, enfisema o bronchite)
-Malattia cardiaca (ad esempio insufficienza cardiaca)
-Diabete
-Malattia renale cronica
-Malattia del fegato (come l’epatite)
-Criticità neurologiche (ad es. Morbo di Parkinson, , sclerosi multipla o paralisi cerebrale)
-Assunzione di farmaco immunosoppressivo (ad es. Steroidi a basso dosaggio)
-Obesità grave
Veniamo all’EMA, l’Agenzia Europea per la Medicina. Per i quattro vaccini al momento autorizzati, Comirnaty (Pfizer), Moderna, Vaxzevria (AstraZeneca) e Janssen (Johnosn &Johnson) le indicazioni sono poche e non specifiche per l’HIV ma la vaccinazione delle persone con criticità immunitarie è comunque raccomandata: “sono disponibili dati limitati sulle persone immunocompromesse – si legge in relazione a ciascuno dei quatto vaccini– sebbene possano non rispondere altrettanto bene al vaccino, non ci sono particolari problemi di sicurezza. Le persone con depressione immunitaria possono essere vaccinate poiché potrebbero essere a maggior rischio di contrarre il COVID-19”.
Analoghe le indicazioni di AIFA, Agenzia Italiana del Farmaco che, al punto quattordici di questo documento (domande e risposte –condizioni per la vaccinazione), scrive:“I dati relativi all’uso nelle persone immunodepresse (il cui sistema immunitario è indebolito) sono in numero limitato. Sebbene queste persone possano non rispondere altrettanto bene al vaccino, non vi sono particolari problemi di sicurezza. Le persone immunocompromesse possono essere vaccinate con il vaccino più efficace, in quanto potrebbero essere ad alto rischio di COVID-19”.
L’HIV non è spe cificatamente nominato nemmeno dal nostro Ministero della Salute che parla genericamente di condizioni d’immunodeficienza: “Le persone con immunodeficienza o in trattamento con farmaci immunomodulanti dovranno essere vaccinate nelle prime fasi, in quanto maggiormente suscettibili di ammalarsi di Covid-19”.
Le persone con HIV in Italia hanno diritto a essere vaccinate in via prioritaria?
Il piano vaccinale italiano rimodulato lo scorso 24 marzo, prevede cinque fasce di priorità vaccinale classificate in base all’età e alle condizioni patologiche. La prima è quella riservata alle persone a elevata fragilità, cioè estremamente vulnerabili , portatori di disabilità grave, ultraottantenni. In questa fascia sono inserite anche le persone con HIV che siano in fase AIDS o, che comunque, presentino un numero di CD4 inferiore ai 200. “Nei soggetti identificati come estremamente vulnerabili –si precisa nel piano– in ragione di condizioni di immunodeficienza, primitiva o secondaria a trattamenti farmacologici o per patologia concomitante, che aumenti considerevolmente il rischio di sviluppare forme fatali di COVID-19, si conferma l’indicazione a un uso preferenziale dei vaccini a RNA messaggero (Moderna e Pfizer)”
Tutte le altre persone con HIV possono essere, invece, inserite nella quarta fascia di priorità: “persone con comorbidità di età inferiore ai sessanta anni senza quella connotazione di gravità riportata per i fragili della prima fascia“. La forte disomogeneità che si registra tra le regioni sul rispetto del piano indicato non permette di ipotizzare quando sarà possibile accedere ai vaccini ma è plausibile che questo possa avvenire prima dell’estate.