La Terapia anti-HIV

  • 9 Dicembre 2011
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La Terapia anti-HIV

L’introduzione delle terapie antiretrovirali nel 1996 ha rappresentato una svolta nella storia dell’HIV, determinando l’immediato crollo delle diagnosi di AIDS e della mortalità. Da allora sono stati sviluppati molti nuovi farmaci, meno tossici e meno intrusivi, che hanno migliorato la qualità della vita delle persone con HIV e reso l’aspettativa di vita paragonabile a quella della popolazione generale. Nonostante non esistano ancora dei farmaci in grado di eliminare l’HIV dall’organismo, l’infezione opportunamente trattata è oggi considerata un’infezione cronica, che lascia spazio a progetti di vita personali, lavorativi e familiari, compreso quello di diventare genitori.
Oltre a sostenere lo stato di salute, le terapie sono in grado di diminuire la capacità infettiva dell’HIV riducendo significativamente il rischio di trasmettere il virus ad altre persone. Questo aspetto della terapia ha una ricaduta positiva sia per le persone con HIV che per la collettività, contribuendo in modo sostanziale al contenimento dell’epidemia.

Glossario di base

HIV/AIDS – L’HIV è il virus dell’immunodeficienza umana: una volta entrato nell’organismo, attacca alcune cellule del sistema immunitario indebolendo progressivamente le naturali capacità di difesa. Se non trattato, può comportare una grave compromissione del sistema immunitario e l’insorgenza di infezioni opportunistiche e tumori (diagnosi di AIDS).

CD4 – Sono un tipo di globuli bianchi e fanno parte del sistema immunitario. Il virus HIV li utilizza per riprodursi e così facendo li distrugge. Il valore dei CD4 indica il numero di CD4 per millilitro di sangue (CD4/ml). La conta dei CD4 è un esame diagnostico di routine per le persone con HIV e permette di stabilire se è in atto un danno al sistema immunitario. Una persona sana ha in media tra i 500 e i 1.200 CD4 per millilitro di sangue.

Carica virale o viremia – Indica la quantità di virus presente nel plasma, la parte liquida del sangue. La misura della viremia è espressa dal numero delle copie di virus per millilitro di sangue (copie/ml). Anche questo è un esame diagnostico di routine: una carica virale di 10.000 copie per millilitro di sangue è considerata bassa, mentre una di 100.000 è considerata alta. Più alta è la carica virale, più CD4 saranno colpiti dal virus e maggiore sarà la possibilità di ammalarsi. La terapia anti-HIV è considerata efficace quando la carica virale diventa non rilevabile, o negativa o azzerata.


In cosa consiste la terapia

Ad oggi non esistono ancora farmaci in grado di distruggere il virus, ma sono disponibili oltre 20 farmaci in grado di contrastarne la replicazione. A seconda del meccanismo d’azione sono suddivisi in diverse classi:

  • inibitori della trascrittasi (RTI), suddivisi in nucleosidici (NRTI) e non nucleosidici (NNRTI);
  • inibitori della proteasi (IP);
  • inibitori di fusione (IF);
  • inibitori dell’integrasi (INSTI);
  • inibitori del co-recettore CCR5.

Affinché la terapia anti-HIV sia efficace, occorre combinare diverse classi di farmaci. Per questo motivo si parla di terapia antiretrovirale di combinazione (cART).
La terapia richiede l’assunzione quotidiana di farmaci secondo le prescrizioni mediche. Può trattarsi di più compresse o di una unica contenente in sé diversi principi attivi.

Per semplificare la terapia e migliorare la qualità della vita delle persone con HIV, negli ultimi anni la ricerca si è focalizzata sui cosiddetti farmaci long-acting (lunga durata), farmaci in grado di agire per un lungo periodo di tempo e che non richiedono dunque di essere assunti tutti i giorni. Da luglio 2022, è finalmente disponibile in Italia una terapia a base di due farmaci antiretrovirali long-acting: la somministrazione viene fatta in ospedale ogni 2 mesi attraverso una doppia iniezione intramuscolare. Non si tratta di una terapia di prima linea e non è dunque indicata per le persone che abbiano appena ricevuto la diagnosi. Al momento, le persone che possono accedere a questo trattamento, devono avere già una viremia negativa e non devono avere avuto precedenti fallimenti terapeutici né sviluppo di mutazioni che possano compromettere l’efficacia di questi farmaci. Questa terapia non è inoltre indicata per le persone che abbiano una coinfezione con il virus dell’Epatite B.
La ricerca prosegue e sono allo studio farmaci che permetteranno di ridurre ulteriormente la frequenza delle somministrazioni.


Quando iniziare la terapia

Sei tu che devi assumere i farmaci ed è quindi tua la scelta se iniziare e quando, valutando assieme al tuo medico i pro e i contro della terapia antiretrovirale prima di prendere una decisione.
Tieni però presente che le sperimentazioni cliniche condotte fino ad oggi hanno evidenziato i vantaggi associati all’inizio precoce della terapia: riduzione della replicazione virale e dell’infiammazione cronica, migliore recupero immunologico, minor rischio di complicazioni cliniche, riduzione della probabilità di trasmissione ai partner.
Le attuali linee guida raccomandano dunque l’inizio della terapia a tutte le persone con HIV, indipendentemente dal quadro immuno-virologico.


Le resistenze ai farmaci

L’HIV si riproduce molto rapidamente e può accadere che si generino delle copie di virus diverse dall’originale. Queste mutazioni possono sia danneggiare il virus che renderlo più potente. È possibile infatti che si generi un ceppo di virus resistente ad alcuni farmaci.
Generalmente ci si infetta con un ceppo di virus che non presenta alcuna mutazione (ceppo “selvaggio”), ma la possibilità di contrarre un ceppo già resistente ad alcuni farmaci è in crescita a causa della diffusione delle terapie (il 6-10% delle persone con HIV che non hanno mai assunto la cART ha farmaco-resistenze per le tradizionali classi di antiretrovirali, inibitori della proteasi e della trascrittasi).
Oltre alle resistenze acquisite, esiste il rischio di sviluppare resistenze nel corso della terapia. Questo rischio è proporzionale alla quantità di virus nel sangue (viremia): nelle persone che assumono regolarmente e con successo la terapia, la viremia è negativa e dunque il rischio di sviluppare resistenze è vicino allo zero; il rischio sussiste se la terapia non viene assunta regolarmente e/o la viremia è persistentemente positiva.

I test di resistenza permettono di verificare se il virus abbia sviluppato delle resistenze e di individuare i farmaci più efficaci nel trattamento. Se l’infezione da HIV è recente, il test consente di stabilire se il ceppo è “selvaggio”. Se il test non è stato effettuato recentemente o non è stato mai effettuato, andrebbe fatto prima di iniziare il trattamento ed eventualmente ripetuto nel caso in cui la terapia assunta non si dimostri più efficace contro il virus.
Esistono diversi tipi di test:

  • i test genotipici analizzano la struttura genetica del virus e permettono di individuare eventuali mutazioni associate a specifiche farmaco-resistenze;
  • i test fenotipici analizzano la reazione del virus a contatto con un farmaco in provetta.

Solitamente viene eseguito un test genotipico, più rapido ed economico, mentre il test fenotipico viene eventualmente eseguito in aggiunta qualora il primo test non abbia fornito indicazioni sufficientemente chiare.

Anche per le persone con virus multi resistente esistono delle opzioni terapeutiche. Recentemente sono stati approvati e resi disponibili due farmaci dedicati proprio a chi si trova in questa condizione: un inibitore dell’attachment virale e un anticorpo monoclonale.


L’aderenza alla terapia

Perché la terapia sia efficace, è fondamentale assumere i farmaci nei tempi e nelle dosi indicate.
Un’assunzione regolare assicura che nell’organismo si mantenga sempre una quantità di farmaci sufficiente a tenere il virus sotto controllo.
Saltando le dosi o ritardandone l’assunzione, per un certo periodo di tempo il farmaco nell’organismo non sarà sufficiente e l’HIV avrà modo di replicarsi e di infettare altre cellule; inoltre, replicandosi, il virus può creare copie resistenti ai farmaci. Dunque, se non si osservano le prescrizioni, l’efficacia del trattamento diminuisce e aumenta il rischio di fallimento terapeutico; oltre a questo, lo sviluppo di mutazioni del virus resistenti ai farmaci potrebbe ridurre le future opzioni terapeutiche e rendere l’infezione più difficile da trattare.
Per favorire la corretta assunzione dei farmaci, collabora con il tuo medico alla scelta di una terapia che si adatti il più possibile al tuo stile di vita. Potrebbe anche esserti utile adottare dei dispositivi con funzione di ricordo (sveglia, memo, notifica sonora…).


Effetti collaterali

Chiedi al tuo medico di spiegarti bene e con franchezza quali sono le caratteristiche dei farmaci che dovrai utilizzare, informandoti anche sugli eventuali effetti indesiderati.
I farmaci anti-HIV, indispensabili per tenere sotto controllo il virus, potrebbero infatti avere delle ripercussioni sull’organismo, sia a breve che a lungo termine.
Gli effetti collaterali a breve termine sono più comuni e insorgono semplicemente perché l’organismo si sta abituando al nuovo farmaco. In genere, scompaiono entro qualche settimana. I disturbi più frequenti comprendono un senso generale di stanchezza e malessere, nausea, diarrea e alterazioni del sonno. Si può tentare di contrastare questo genere di effetti collaterali con un apposito trattamento farmacologico. Se però dovessero persistere, è bene valutare insieme al medico l’eventualità di cambiare terapia.
Meno comuni sono gli effetti collaterali che hanno ripercussioni a lungo termine sulla salute. È bene controllare periodicamente lo stato di salute di fegato, reni e ossa per sincerarsi che vada tutto bene. Vanno tenuti sotto controllo anche il colesterolo e la glicemia: se i loro valori sono superiori alla norma, infatti, potrebbe aumentare il rischio di cardiopatie, diabete, ipertensione o ictus. Le alterazioni dell’aspetto fisico (anomala perdita o accumulo di grasso in determinate parti del corpo) sono meno frequenti di una volta e i medici tendono oggi a evitare di prescrivere i farmaci noti per causare questo tipo di problemi.
Se si presenta un disturbo, può essere il caso di cambiare lo stile di vita, assumere farmaci specifici o modificare il trattamento anti-HIV.


Interazioni con altri farmaci o sostanze

Farmaci, alimenti e altre sostanze possono interagire tra loro annullando o moltiplicando i reciproci effetti. Può accadere dunque che una terapia perda efficacia o che sia completamente vana, ma anche che risulti tossica, che siano amplificati gli effetti collaterali o che produca ulteriori danni all’organismo.
Chiedi al tuo medico di informarti sulle interazioni in grado di inficiare la terapia antiretrovirale e informalo se segui già un’altra terapia o qualora in futuro avrai bisogno di assumere dei farmaci. Qualora tu ne faccia uso, prendi informazioni anche sulle possibili interazioni con sostanze ricreative, rimedi naturali, integratori, anabolizzanti e altre sostanze.


Stile di vita, HIV e terapie

Uno stile di vita sano, una corretta alimentazione, svolgere attività sportive, smettere di fumare e limitare l’uso di bevande alcoliche contribuiscono al benessere di qualunque persona e aiutano a mantenere il buon funzionamento del sistema immunitario.
Nelle persone con HIV, l’intensa e continua attività del sistema immunitario per combattere l’infezione aumenta il bisogno di energia e di nutrienti. Può accadere tuttavia che l’appetito sia ridotto, per esempio perché ci si sente stanchi e depressi o perché i farmaci modificano il sapore dei cibi o provocano nausea. L’HIV e le terapie possono inoltre modificare il metabolismo e ridurre l’assorbimento dei cibi. Per questo è importante prestare particolare attenzione all’alimentazione e seguire una dieta salutare e bilanciata.
Anche l’attività fisica produce evidenti benefici e la ricerca ha dimostrato che le persone con HIV che praticano regolarmente esercizi fisici hanno una migliore qualità della vita sia sul piano fisico che sul piano psicologico e sociale.
Uno stile di vita sano produce dunque una ricaduta positiva sull’organismo e sullo stato d’animo, rafforza il fisico, sostiene il sistema immunitario, contrasta il senso di stanchezza e lo stress, contribuendo in modo rilevante a ottimizzare i benefici della terapia e a contrastarne gli effetti collaterali.


Quando la terapia è considerata efficace

Il principale obiettivo della terapia antiretrovirale è quello di ridurre la morbosità e la mortalità correlata all’infezione da HIV e, di conseguenza, migliorare la qualità della vita delle persone con HIV.
L’indicatore più importante di efficacia terapeutica è la viremia o carica virale. La terapia è considerata efficace se, entro 3-6 mesi dall’inizio del trattamento, la viremia si assesta stabilmente sotto la soglia delle 50 copie/ml; qualora i valori di viremia pre-terapia siano particolarmente elevati, può essere necessario un tempo più lungo.
Nonostante la disponibilità di metodiche in grado di quantificare la viremia al di sotto delle 50 copie, quando i valori sono inferiori a questa soglia si parla comunque di viremia “non rilevabile” o “non misurabile”, o “azzerata”, o “negativa”.


Il fallimento terapeutico

La disponibilità attuale di farmaci antiretrovirali di varie classi, potenti e ben tollerati consente di impostare regimi duraturi nel tempo nella stragrande maggioranza dei casi. È possibile tuttavia che la terapia non induca gli effetti auspicati.
Se la terapia non comporta la soppressione stabile della viremia si parla di fallimento virologico e si procede con un cambio di terapia. I fallimenti virologici possono essere di 3 tipi:

  • soppressione virologica incompleta – dopo 24 settimane dall’inizio della terapia, la viremia persiste oltre le 50 copie/ml;
  • rialzo viremico (rebound) – dopo il raggiungimento della soppressione virologica, si misura un primo valore di viremia superiore alle 50 copie/ml, confermato da una seconda misurazione;
  • viremia bassa persistente – si misurano valori ripetuti di viremia sopra le 50 copie/ml, ma persistentemente al di sotto delle 200 copie/ml.

Non si parla di fallimento virologico ma di blip viremico se, dopo la soppressione virologica, si registra un episodio isolato di viremia superiore alle 50 copie/ml, seguito da un rapido e stabile ripristino dei valori precedenti.
In alcuni casi, può invece accadere che la terapia sia efficace nel sopprimere la carica virale ma che, nonostante questo, non si verifichi l’atteso recupero del sistema immunitario (fallimento immunologico) o, più raramente, insorgano eventi clinici correlati all’HIV/AIDS (fallimento clinico).


Monitoraggio della viremia

La viremia va misurata ad intervalli regolari, soprattutto in coloro che iniziano la cART.
La viremia va determinata con regolarità ogni 3/4 mesi fino al momento dell’eventuale inizio della terapia.
Per verificare l’efficacia del trattamento, la viremia va misurata immediatamente prima e non oltre 4 settimane dall’inizio della terapia; la determinazione della viremia va poi ripetuta ogni 4/8 settimane fino al raggiungimento di viremia non rilevabile (< 50 copie/mL). Queste raccomandazioni sono valide anche nel caso di un cambio terapeutico a seguito di un fallimento virologico.

  • In regime terapeutico con soppressione virologica stabile, la viremia va misurata ogni 3/4 mesi. Se la soppressione virologica è stabile da almeno 2/3 anni, l’aderenza alla terapia è ottimale e lo stato clinico e immunologico è buono, è possibile, in casi particolari e a giudizio del medico curante, estendere l’intervallo tra le misurazioni fino a 6 mesi.
  • In caso di mancato raggiungimento della soppressione virologica a 6 mesi dall’inizio della cART, oppure in caso di incremento della viremia dopo iniziale soppressione, un attento monitoraggio della viremia (anche molto ravvicinato nel tempo) andrebbe effettuato al fine di distinguere un fallimento precoce da una lenta e graduale riduzione della viremia stessa, oppure da un blip viremico.


Monitoraggio dei CD4

I CD4 (detti anche linfociti T helper) hanno la funzione di orchestrare la risposta immunitaria alle infezioni.
La conta dei CD4 dà la misura della funzionalità del sistema immunitario.
Una persona sana ha in media tra i 500 e i 1.200 CD4 per millilitro di sangue, ma è un dato che può variare notevolmente di caso in caso (le donne ad esempio hanno livelli tendenzialmente più alti degli uomini) e che può subire oscillazioni anche nella stessa persona e nel corso della stessa giornata (è influenzato ad esempio dallo stress, dal fumo, dal ciclo mestruale, dall’uso della pillola, dalla recente attività fisica). Il numero dei CD4 scende quando si contrae un’infezione o una malattia.
Nelle persone con HIV che non assumono la terapia, la conta dei CD4 si riduce di circa il 4% all’anno. Una conta inferiore ai 200 CD4/mL è associata ad un aumento del rischio di infezioni opportunistiche. Nelle persone che seguono con successo il trattamento, oltre all’abbattimento della carica virale, si registra invece un aumento annuo dei CD4 di circa 50-100 cellule per millilitro di sangue, anche se in una quota considerevole di casi (circa il 25%) questo incremento può essere di entità inferiore o variabile. Il recupero dei CD4 è fortemente associato al “nadir”, cioè ai livelli minimi di CD4 raggiunti precedentemente.
Oltre alla conta assoluta dei CD4, un altro parametro utile nella valutazione dello stato immunologico è il valore percentuale dei CD4, ossia la quantità di CD4 in rapporto al numero totale di globuli bianchi. Nelle persone sane questa percentuale si assesta intorno al 40% (tra 32 e 68%).
Una percentuale inferiore al 14% è associata ad un aumento del rischio di infezioni opportunistiche.
Un altro valore da considerare è il rapporto tra CD4 e CD8 (detti anche linfociti T suppressor), un altro tipo di linfociti che agisce direttamente contro virus e batteri. In un adulto sano questo valore è solitamente pari o superiore ad 1, mentre nelle persone con HIV è solitamente più basso: se da lato, infatti, i CD4 tendono a decrescere, i valori dei CD8 risultano invece più elevati rispetto alla norma. Anche a seguito della terapia, il rapporto CD4/CD8 raramente si normalizza, ma l’aumento di questo valore è segno che la terapia sta funzionando e che lo stato infiammatorio indotto dal virus è sotto controllo.
I CD4, come la viremia, vanno dunque monitorati con regolarità:

  • ogni 3 mesi fino al momento dell’eventuale inizio della terapia;
  • a 1 e a 3 mesi dall’inizio della terapia;
  • ogni 1-3 mesi dopo un cambio di terapia a seguito di un fallimento virologico;
  • dopo 2 anni dall’inizio della terapia con carica virale stabilmente soppressa, le misurazioni vanno effettuate ogni 4-6 mesi se la conta dei CD4 è stabilmente compresa tra i 300-500/mL e ogni 6-12 mesi se la conta dei CD4 è stabilmente superiore a 500/mL.

Poiché, come detto, i valori dei CD4 possono subire delle naturali oscillazioni, è più indicativo valutarne l’andamento nel tempo, piuttosto che dare troppo peso all’esito di un singolo test. Conviene inoltre rimandare l’esame se è in corso un’influenza o un’altra infezione.

 

Interruzione terapeutica strutturata

La possibilità di interrompere completamente l’assunzione dei farmaci anti-HIV per un periodo di tempo è stata estensivamente studiata ma, pur con alcune controversie sul tema e il possibile riaprirsi di nuove prospettive, l’interruzione terapeutica strutturata è risultata generalmente associata ad un maggior rischio di progressione clinica e di complicanze.
Potrebbe essere presa in considerazione in persone con viremia stabilmente soppressa e livelli elevati di CD4, in caso di problemi rilevanti di tossicità agli antiretrovirali e indisponibilità ad aderire al regime terapeutico. In questo caso è fortemente raccomandato uno stretto monitoraggio clinico e di laboratorio.


La terapia come strumento di prevenzione (TasP e U=U)

Il fattore che più di tutti incide nella trasmissione del virus è la viremia: più è alta, maggiore è il rischio di trasmissione. Dunque la terapia, abbattendo la carica virale, è efficace anche nel contenere la diffusione dell’HIV: c’è una differenza enormemente significativa tra persone in terapia e non, rispetto al rischio di trasmettere il virus. TasP è un acronimo che sta per Treatment as Prevention e si riferisce appunto al ruolo della terapia antiretrovirale nella prevenzione dell’HIV.

La ricerca scientifica ha inoltre dimostrato che, se la persona con HIV segue regolarmente la terapia e ha una carica virale stabilmente non rilevabile, non trasmette il virus. Questa evidenza è rappresentata dall’acronimo U=U, dall’inglese Undetectable = Untrasmittable, ossia Non rilevabile = Non trasmissibile: se la carica virale non è rilevabile, il rischio di trasmissione dell’HIV è nullo.

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